Presentazione

Il dialogo e l’integrazione per me, immigrato musulmano di origine iraniana che vive da quasi quarant’anni in Italia, sono stati sempre al centro della mia attenzione.
Per gli immigrati lasciare il proprio paese di origine, i cari, gli usi, i costumi e le abitudini per recarsi in un’altra nazione e continente è sempre un fatto doloroso e traumatico.

Io ho compiuto questo sforzo per completare gli studi universitari e poi ho optato per rimanere in Italia, soprattutto per sfuggire alla repressione politica del regime dello Scià Mohammad Reza Pahlavi. In seguito, per ragioni familiari e di lavoro, questa scelta è divenuta definitiva. I quattro o cinque anni, programmati da me e dalla mia famiglia, sono diventati quaranta. È passata una vita!

L’immigrazione è lo spostamento fisico di un essere umano da una terra all’altra, necessita di grandi sforzi e sacrifici per abituarsi al nuovo clima, ai cibi diversi, ad una nuova lingua e, più importante di tutto, ci si deve abituare a convivere in una nuova società e con gente nuova. Tutto questo crea nell’immigrato un costante malessere che potrà sparire solamente attraverso il processo d’integrazione.

L’integrazione non significa la perdita dell’identità nazionale, religiosa e culturale dell’immigrato e l’assimilazione totale dell’individuo nella società e nel paese d’adozione. Questo, oltre tutto, spesso non è possibile per le differenze dei caratteri somatici ed il colore della pelle dell’immigrato.

In ogni caso, l’integrazione avviene attraverso il dialogo ed il costante confronto con la popolazione e le sue istituzioni civili, religiose e culturali.

L’apprendimento ed il rispetto degli usi, dei costumi e delle credenze religiose della popolazione, lo studio della storia, della Costituzione e dei valori fondanti dello Stato e la loro condivisione sono indispensabili per una effettiva integrazione nel nuovo paese.

La patria è dove vivi e lavori in libertà, sicurezza e parità di diritti e doveri.

Ho avuto la fortuna di entrare in Italia dalla porta principale con un visto di studio, in quei formidabili anni “sessantotto”, quando tutto era in fase di evoluzione e cambiamento. Aderii appieno agli ideali di giustizia, partecipazione, democrazia, trasparenza e solidarietà del grande movimento studentesco ed operaio che in quegli anni in Italia era in pieno svolgimento.

La mia integrazione nella società italiana, prima nell’ambiente universitario e poi in quello lavorativo, grazie a quel clima di apertura e solidarietà popolare, è avvenuta molti anni prima che venisse ufficializzata.

Se vogliamo davvero tutti quanti insieme, italiani, immigrati nati all’estero, figli degli immigrati nati in Italia costruire una società pluralistica, sulla base naturalmente di ciò che ci unisce, dobbiamo affrontare con coraggio ciò che ci divide. Per primi vengono i temi delle libertà fondamentali e della fedeltà ai valori primari: la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la Costituzione Italiana.

I temi cruciali della giustizia sociale, del razzismo e dell’emancipazione vanno con urgenza affrontati e risolti.

Qualora ci fossero in Italia e in Europa delle larghe fasce di cittadini, che non attribuissero particolare valore al significato della loro cittadinanza, non saremmo capaci di costruire in questo continente una società giusta, pacifica e democratica.

In questo impegno di costruzione di un mondo migliore, le cui fondamenta siano la giustizia, la democrazia e la pace, dobbiamo compiere un grande sforzo anche noi immigrati musulmani, donne e uomini insieme ed alla pari. Innanzi tutto non dobbiamo chiuderci tra le mura domestiche della nostra casa e della nostra comunità, facendo una vita divisa e parallela alla gente del paese in cui viviamo. La voglia di partecipazione ed emancipazione ci deve spingere ad imparare la lingua, la storia, la cultura e le tradizioni del nostro nuovo paese. Non possiamo restare eternamente stranieri nel paese in cui viviamo e per di più sentirci stranieri anche quando torniamo in patria, conseguenza naturale dei lunghi anni di lontananza.

Il ruolo delle donne musulmane in Europa, nel processo d’integrazione ed emancipazione degli immigrati è fondamentale, in quanto sono la componente più innovativa e soprattutto perché fanno crescere le nuove generazioni. Il principio di parità tra donna e uomo non può essere in alcun modo messo in discussione. Sono necessarie disposizioni legislative che obblighino “le mogli importate”, ad imparare la lingua e a conoscere la Costituzione, i valori e le leggi fondamentali del paese d’adozione per poter cosi ottenere il permesso di soggiorno e di lavoro. In breve, è bene dare un minimo di cultura.

La società del futuro non sarà più la stessa: in una società pluralistica che silenziosamente stiamo costruendo giorno dopo giorno, dovremmo imparare il mutuo rispetto.

L’obiettivo primario resta la creazione di una società dove ci sia un posto per tutti. Una società in cui tutti, nativi ed immigrati, si possano sentire veri cittadini, con gli stessi diritti e doveri e le stesse opportunità, a cominciare da quelle dell’inserimento nel mondo del lavoro, nelle istituzioni politiche e negli organismi rappresentativi.

Nel sostenere le mie idee che vanno a vantaggio di tutti, musulmani e non, e che sono fondamentali per una civiltà pacifica e progredita, in cui ognuno si senta parte di un tutto a cui egli appartiene, ho ben presente gli insegnamenti cristiani secondo cui ognuno deve essere fratello dell’altro per aiutarlo. Come dice San Paolo, l’umanità è come un corpo le cui membra si aiutano a vicenda: “Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre” (Prima lettera ai Corinzi, 12, 24).

I principi sopra esposti sono gli stessi del Corano e che risuonano con forza nella splendida poesia del poeta persiano Sa’adi (1184-1290) di Shiraz che onora tutti noi iraniani, poiché i suoi versi campeggiano nell’ingresso del palazzo di vetro dell’ONU a New York:

“I figli di Adamo sono organi dello stesso corpo,
creati dall’unica fonte.
Se la vita procura dolore ad un organo,
gli altri organi non restano immuni.
Tu, a cui non importa il malessere degli altri,
non puoi chiamarti essere umano.”
E’ fondamentale abbattere le barriere, soprattutto quelle ideologiche, per diventare cittadini del mondo, pur mantenendo la propria identità, per entrare nella linfa vitale della democrazia.

Hossein Fayaz, nato in Iran, è un ex importatore diretto di tappeti orientali, autore di numerosi libri ed articoli che da quasi quaranta anni vive in Italia.

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